Il fallimento delle ricollocazioni Jabil: chi guida davvero il destino dei Lavoratori?

jabil marcianise

Atto III – I Lavoratori e Sindacati Jabil usano i pretesti Orefice e Softlab

Siamo finalmente arrivati al penultimo atto della vicenda che vede coinvolti i lavoratori Jabil ed ex Jabil, ovvero la storia delle ricollocazioni come fallimento annunciato per impedire il licenziamento collettivo e la chiusura dello stabilimento di Marcianise.

Per comprendere meglio i fatti, facciamo alcune premesse:

I lavoratori Jabil hanno sempre saputo che l’epilogo sarebbe stato la chiusura dello stabilimento di Marcianise. Le principali sigle sindacali ne erano consapevoli, ma non hanno mai potuto dichiararlo apertamente.
Consapevoli del destino inevitabile, hanno cercato di guidare gli eventi a proprio favore (non sempre coincidente con l’interesse dei lavoratori), favorendo alcune situazioni e sabotandone altre.

I progetti di ricollocamento dovevano fallire.
Se un progetto come quello con Orefice fosse stato un successo, sarebbe diventato difficile opporsi ad altre iniziative simili. Ma perché i sindacati ostacolavano progetti come quello con Orefice? La risposta è semplice: una sindacalizzazione in realtà più piccole e frammentate sarebbe risultata difficile, e lo “zoccolo duro” sindacale in Jabil si sarebbe disperso, con una inevitabile perdita di iscritti.

Di conseguenza, i lavoratori che hanno aderito al progetto Orefice sono stati trasformati in martiri, sacrificati in nome dei colleghi che oggi usano questa vicenda come esempio per rifiutare qualsiasi nuova iniziativa di ricollocamento.
Oggi, come prevedibile, molti lavoratori dichiarano di non voler lasciare Jabil, portando a sostegno la cattiva gestione dei progetti di ricollocamento precedenti. Tuttavia, il fallimento del progetto Orefice non è avvenuto spontaneamente, ma è stato influenzato da interferenze esterne, documentate e ben visibili.

Il caso TME è emblematico, perché rivela le reali intenzioni dei sindacati. Riflettiamoci: una NewCo costituita con una quota rilevante di capitale da parte di Invitalia, ovvero lo Stato Italiano. Se tutte le aziende coinvolte nei progetti di ricollocamento sono state descritte come “brutte e cattive”, perché non confluire in un’azienda dove è lo stesso Governo a detenere le quote e a presiedere il CDA? Può davvero questa soluzione essere peggiore del futuro incerto che si profila per lo stabilimento di Marcianise?

La chiusura di Jabil è ormai certa. Lo si è sempre saputo.

E’ notizia di qualche ora fa che i Lavoratori scrivendo al Ministro (che poi non sono i Lavoratori a scrivere) affermano “I recenti rami d’azienda ceduti da Jabil a Softlab e Orefice, non hanno prodotto risultati ma solo disoccupati o alla meno peggio cassintegrati”.

Fermo restando che non risultano essere mai stati ceduti rami di azienda, è significativo come da queste dichiarazioni emerga forte e chiaro come il motivo del “NO” a qualsiasi soluzione sia tutto legato a due progetti passati.

Furbi i lavoratori che hanno scelto l’esodo incentivato, con incentivi che oscillavano tra 30.000 e 100.000 euro, consapevoli che la “barca” stava affondando. Leggendo queste cifre tanti grideranno “non è vero!”, ma state certi che gli accordi defintivi per ogni esodo sono stati individuali e nonostante le firme siano avvenute in sede protetta ogni negoziazione è avvenuta prima di tale firma.

Noi lo abbiamo sempre scritto e ribadito: gli eventi sono andati come previsto. Dovevano andare esattamente così.

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